Trasportare il marmo sull’acqua? Vediamo come

Fino dal tempo dei Faraoni le vie d’acqua interne costituirono una comoda e decisiva risorsa per il trasporto dei grossi carichi lapidei. Questo comportò la costruzione e l’uso di barche e navigli che, nel caso degli obelischi, furono anche di foggia particolare e di dimensioni considerevoli.

Le zone di estrazione dei materiali, ove era possibile, si cercavano in prossimità di corsi d’acqua, ovvero si scavava una rete di canali per raggiungere le cave più lontane, per metterle in connessione con il cantiere di costruzione. Le prime rappresentazioni di questi natanti, su rilievi e monumenti ufficiali, risalgono alla seconda metà del III millennio a. C. (fig.1).

 

Benché siano stati ipotizzate varie ipotesi ricostruttive, non abbiamo nessuna evidenza archeologica delle antichissime navi porta obelischi dell’Egitto faraonico e nulla si può affermare con certezza sulle loro caratteristiche architettoniche e tecniche. Tra le raffigurazioni, la più famosa è, forse, quella della nave della Regina Hatshepsut (1473 – 1458 a. C.), nel tempio funerario di Deir el-Bahari, costruita per il trasporto di due enormi obelischi da Assuan a Karnak.

1a: Rilievo nel tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahri. (GNU Free Documentation License 1.2) 1b: ipotesi ricostruttiva. Autore T. Hoogeven

 

Oggi si pensa che, per tutta l’età greco-romana, il trasporto di carichi lapidei sia stato organizzato con normali navi mercantili, e neanche di stazza eccezionale, anche in mare aperto (fig. 2).

 

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L’accenno a una “lapidaria navis”, del resto, si ha solo un paio di volte nelle fonti latine: in Plinio, nella Naturalis Historia, e in Petronio nel Satyricon. In sostanza, quando si parla di “navi lapidarie” riferendosi al sistema commerciale trans marino romano, ci si riferisce più alla “circostanza” e alle “caratteristiche” proprie del singolo trasporto, che alla “specializzazione” del vettore in senso generale (fig.3).

 

Il carico si compone di quattro frammenti di colonne disposte in croce, più cinque blocchi di forma parallelepipeda. Il peso complessivo, intorno alle 138 tonnellate, è relativo ad una unità di medio tonnellaggio, lunga circa 25 m., del cui scafo non si è rinvenuta traccia. (Foto: www.legallais.net)

 

In altri termini, salvo in casi particolari come quelli delle navi porta-obelischi di cui si è detto e in poche altre circostanze relative a imprese o progetti di ampio respiro, il trasporto sarebbe stato eseguito da regolari navi mercantili (onerariae naves) che, per robustezza e dimensioni, fossero le più idonee tra quelle disponibili, magari adeguandole a tali funzioni con modifiche essenziali o reversibili, come lo smontaggio dell’albero maestro o la rimozione, parziale o totale, del ponte (fig.4).

 

Il carico della nave constava di 54 blocchi e lastroni grezzi o appena sbozzati. il peso totale, di oltre 357 tonnellate, fa della nave in questione una delle più grandi tra le “lapidarie” conosciute.

Immagine: rilievo 3D, Progetto BLUEMED, Università della Calabria.

 

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    Articolo a cura di Roberto Petriaggi

    Archeologo ha lavorato presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali: è stato direttore del Museo delle Navi Romane di Fiumicino e ha condotto ricerche di archeologia subacquea in Italia e all’estero (in particolare Yemen, Oman, Libia).