Nulla si distrugge: il riuso dei materiali nell’Antichità

Se osserviamo l’imponente frontone di un tempio o entriamo in una suggestiva Basilica paleocristiana, la nostra attenzione è catturata dalla complessità della struttura e, se non siamo mossi da una curiosità scientifica precisa, è difficile che ci interroghiamo su cosa si nasconde dietro l’apparenza.

Infatti bisognerebbe soffermarsi sui singoli elementi architettonici per riuscire a scoprire che, talvolta, potremmo trovarci davanti a casi di riciclo, più o meno consistente, di materiali lapidei, ed eterogenei, provenienti da altri contesti o da monumenti abbandonati e in disuso.

Questa consuetudine non è comune soltanto a periodi di decadenza o di crisi economica e sociale, allorché si presentava la difficoltà di reperire materiale edilizio nuovo, ma la si riscontra in qualsiasi epoca e in qualsiasi area culturale.

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A volte il riuso, infatti, può avere motivazioni ideologiche, come nel caso della ricostruzione delle mura dell’Acropoli di Atene dopo l’occupazione persiana e, otto secoli più tardi, nella edificazione dell’Arco di Costantino, non escludendo, tuttavia, quelle ispirate da rivendicazioni e rivalse di tipo cultuale.

Così, ad esempio, come quando, in età paleocristiana, si giunse a occupare interi edifici pagani e a ridedicarli al culto cristiano, come avvenne per il Pantheon a Roma. Gli esempi qui proposti appartengono, dunque, a epoche e contesti diversi, a partire dal V secolo a. C.

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